Sensazioni e sintomi
Dopo quel terribile episodio, nonostante il tempo corresse, il ricordo di quel brutto momento, era sempre vivo dentro di me, per cui cercavo di cogliere sensazioni e sintomi di una eventuale “depressione da gravidanza“. Avevo l’impressione di non essere del tutto “guarita” da quell’evento e dalla paura che potessero verificarsi altre situazioni spiacevoli . Ma non volevo sprofondare nel pessimismo cosmico e il terrore dell’ignoto non poteva immobilizzarmi a tal punto, da non farmi vivere serenamente la mia nuova vita di donna incinta. Allora decisi che avrei accolto ogni sensazione, bella o brutta che fosse. Dovevo vivere la mia gravidanza.
Andando avanti si modificava il mio corpo, si delineavano le forme. La creaturina si faceva spazio dentro di me e io sentivo l’amore di una madre verso suo figlio. Il miracolo della vita si stava compiendo in me e non potevo che essere infinitamente grata a Dio. Avevamo desiderato nostro figlio con tutte le nostre forze. L’avevamo sognato, immaginato il suo volto innumerevoli volte. Fu quel desiderio irrefrenabile che ci spinse a non effettuare alcun test prenatale. Decisione forse discutibile, ma, passato il rischio di aborto, sembrava come se Dio ci avesse dato un’ulteriore opportunità, che purtroppo tanti genitori non hanno, per cui in qualsiasi caso, noi quel bambino l’avremmo tenuto. Decidemmo di fargli il suo primo regalo. Non conoscevamo ancora il sesso, per cui optammo per una tutina bianca, a cui una nostra amica accostò un paio di Converse bianche.

Una gravidanza italo-tedesca
Di lì in avanti, dopo quel terribile episodio, facevo da spola, Italia-Germania, Germania-Italia a cadenza mensile. In patria venivo seguita dal dottore, che per privacy chiamerò Dr Zeta. Era un omone grande e grosso, che mi ricordava molto papà castoro. Un uomo simpatico e molto ironico, ma anche un professionista serio e preparato, che amava chiamare il bambino che portavo in grembo, “vitellino”. In terra straniera invece, da una ginecologa che era la versione tedesca di Sandra Mondaini. Era minutissima, magrissima, ma soprattutto “cazzutissima”. Devi prendere solo “nove chili in nove mesi” mi disse la prima volta che la vidi e puntualmente quando sapeva che ero stata in Italia, mi redarguiva a dovere.
La sua teoria era questa: a causa delle italianissime tre “P” cioè pane, pasta e pizza, avrei messo su troppi chili, per cui dovevo trattenermi più a lungo possibile in Germania.
Diciamo che provai a stare attenta al cibo, ma fu davvero difficile. Nonostante non fossi una grande fan della pasta, avevo una voglia matta di affondare la forchetta nei 2 etti di spaghetti che sognavo anche a colazione . I mesi trascorrevano, tra nausee che mi facevano uscire gli occhi di fuori, pipì cadenzate ogni 10 minuti, notti insonni, cistiti frequenti e un umore talmente altalenante da fare girare la testa.
Per le nausee poi, “stendo non un velo, bensì un piumone pietoso”. Io facevo parte di quella percentuale di donne che ne hanno sofferto dall’inizio, fino al giorno del parto, anziché solo nel primo trimestre di gravidanza. Le ho odiate con tutte le mie forze, ma fortunatamente c’era una delle “miracolose P a corrermi in aiuto”, il pane. Vogliamo spendere qualche parola anche sull’umore da gravidanza? Una storia tragicomica. Passavo dal lupo all’agnello in una manciata di secondi. Davvero, vivrei un altro milione di volte tutto, pur di avere mio figlio, ma le sensazioni e i sintomi che ho provato, non mi hanno fatto vivere una gravidanza idilliaca.
Poi lo sentii muovere dentro di me. Fenomenale! è il termine più appropriato per descrivere l’arcobaleno di emozioni che mi aveva suscitato quel momento. E fu ancor più entusiasmante quando Antonio mise la mano sul mio ventre e come per salutarlo, nostro figlio diede un colpetto.
Lo guardai commuoversi e potei constatare ancora una volta che le emozioni non conoscono età, sesso, modi di essere e inclinazioni. Straordinario fu anche il momento in cui sentimmo il cuore di nostro figlio battere per la prima volta. Il primo meraviglioso suono legato alla sua vita. Tutto di lui sapeva di meraviglia.
Verso la fine del settimo mese, tornai in Italia, perché decidemmo che avrei partorito lì, non prima di ricevere le ultime dovute raccomandazioni della ginecologa cazzuta e incazzosa. “ M raccomando magia poca pasta” e mentre io annuivo e la tranquillizzavo che avrei seguito alla lettera ogni sua indicazione… mi crogiolavo pensando a quanti gnocchi e fettuccine fatti in casa dalle mani d’oro di mia madre, avrei mangiato. Antonio mi avrebbe raggiunto di lì a poco e dal parto in poi avrebbe avuto due mesi di paternità. Ebbene sì. In Germania accade questo, anzi meglio dire, anche questo. Due mesi ininterrotti, 7 giorni su 7, h 24 tutti e tre insieme. Incredibile, quasi impossibile da credere, ma a dispetto di ciò che nel nostro paese appare un’utopia, in Germania è realtà.
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