L’arrivo in ospedale
Appena giunti in ospedale ero pronta a continuare il mio travaglio e affrontare il parto, ma non a lasciare mio marito. Lo guardai e gli dissi: “ti avviso appena ho notizie”. Ci salutammo con le lacrime agli occhi. Erano le 5 e 15.
All’entrata del pronto soccorso vidi la solita scena da film. Transenne e check-in per misurare la temperatura, percorsi obbligati, percorsi preferenziali, piedini disegnati, disinfettanti ad ogni angolo. Una volta sbrigate tutte le pratiche che erano ormai diventate una consuetudine in epoca Covid, mi ritrovai a fare una prima visita che lasciò di stucco me e le mie parti basse. Ebbi la sensazione, per un attimo, che anche mia figlia volesse uscire fuori per prendere a schiaffi la tirocinante che mi aveva appena visitata. Proseguimmo poi con il monitoraggio ed una nuova visita di controllo. La stessa specializzanda di prima, la stessa di “non infilare quella mano”. L’indelicatezza di una che non sembra avere la minima idea di che inclinazione abbia una vagina e procede diritto contro un muro, spero vivamente per le altre mamme che ora sia migliorata.
L’esito della visita
Il ginecologo, alzò gli occhi dal tavolo e disse: “E’ il primo figlio? Complimenti procede speditamente. La testa è incanalata, il collo dell’utero all’80 %, il parto aperto di 5 cm” e .. ambo, terno, quaterna e cinquina, pensai tra me e me.
(Ma che vuol dire??)
“Grazie, ehm quindi?” risposi, e lui “signora la ricoveriamo” ah ok, “bene, e mio marito?” chiuse il discorso “per il momento deve restare fuori”. Ancora. Stramaledetto Coronavirurs. Avrei potuto però uscire almeno a salutarlo.

Affrontai altre due ore di contrazioni in solitaria, in piedi, artigliando lo schienale di una poltrona. Poi mi trasferirono nel box parto, nulla di nuovo, oltre al fatto che in questo caso, le mie dita stringevano le sbarre fredde di un letto. H 8:00 fecero salire mio marito, finalmente di nuovo insieme aspettando la nostra bambina. Non vedevamo l’ora di conoscerla, di stringerla, guardarla. Ma ero stremata. Due notti insonni e il risultato era tremendo. Non mi sentivo più tanto pronta ad affrontare il parto, a continuare con quel ritmo.
L’epidurale
Chiesi l’epidurale. Il dolore più brutto che ricordo. Non ero preparata, come non ero preparata a restare seduta immobile a bordo letto con le gambe penzoloni, un ago piantato nella colonna vertebrale e contrazioni in atto. Ho fracassato gli avambracci della piccola infermiera gracilina che tentava di tenermi ferma. Voleva solo aiutarmi, povera. Ma sembrava che quelle braccia gliele volessi proprio staccare. Ho pianto, ho addirittura pensato di preferire le contrazioni a quello strazio. Poco dopo la dottoressa esordì “devo farla di nuovo, non è andata a buon fine”.
Non feci in tempo a fermala che trovò una nuova vertebra o quel che era. Un altro buco seguito da un “crack” che fece sbarrare gli occhi all’infermiera, ma non a me, volevo solo finisse. Infilò la cannula ed iniettò il liquido nella colonna vertebrale. Percepii tutto e capii solo allora perché, prima di iniziare la procedura, avevano fatto uscire mio marito. Sarebbe stato complice di due omicidi. Scherzi a parte, non sarebbe stato piacevole per lui tanto quanto non lo era stato per me. L’unico esito positivo? Le contrazioni si trasformarono in una leggerissima, quasi impercettibile, profonda vibrazione nella pancia.
Ultimo monitoraggio
Al rientro di mio marito, poco dopo, una nuova sessione di monitoraggio.
Da lì in poi un mare di emozioni riempì la stanza. In sottofondo il battito della piccola ci cullava veloce, poi all’improvviso lento. Troppo lento. Tremendamente lento. Cosa stava accadendo? perché il suo battito decelerava? Arrivò la paura. Paura di non poterla conoscere, di non vederla nascere. Cercai gli occhi di mio marito, che nel frattempo non aveva mai smesso di tenermi la mano, ma erano persi anche i suoi, attenti a controllare ogni movimento dei medici, ogni segnale di allarme. Lo guardavo ma a tratti lo perdevo, tante erano le lacrime. Cercavo di interpretare gli sguardi di dottoresse, infermiere ed ostetriche che si muovevano veloci intorno a me, ma non tradivano nessuna emozione dietro quelle mascherine.
Parto cesareo d’urgenza
Mani che entravano ed uscivano. Un continuo rimestare come un mestolo nella pentola. “Sei di 8 cm”. Il monitor mostrava il battito, 68 bpm. L’ostetrica tentò un’ultima manovra, rompendo involontariamente il sacco. Mi guardò “dobbiamo farla nascere”. Sgranai gli occhi e mio marito, che aveva colto la mia richiesta d’aiuto, alzò la voce “scusate, che cosa sta succedendo?” . Nel frattempo un lettino operatorio veniva spinto nella stanza, ed io capii tutto ed in pochissimi secondi, con sconforto, accettai anche quel cambiamento.
Non sarei stata io ad aiutarla, non avrei mantenuto la mia promessa, non potevo fare oltre. Sentivo come se mi stessero strappando un pezzo, come se il destino si fosse accanito contro la mia determinazione, la mia voglia di dare il massimo per mia figlia. “Ma va bene” pensai, “l’importante è che stia bene, che vada tutto bene”. Un turbinio di pensieri durato un secondo, giusto il tempo per ascoltare la risposta della dottoressa “dobbiamo fare un cesareo d’urgenza perché la bimba è in sofferenza, mi dispiace tanto”. Annuii. Anche a me. Ce l’avevo messa tutta, io, “cacasotto” che altro non ero, avevo sopportato e affrontato con fermezza quelle ultime 15 ore di travaglio, per amore di un esserino che ancora non conoscevo.
In sala operatoria
Io ed il lettino di prima entrammo in sala operatoria. Brrrrr freddissimo. Mi informarono che avrebbero dovuto fare la spinale ed inserire il catetere, chiesi “dove?” poi realizzando esclamai con un certo imbarazzo “ahh”, di nuovo lì, “povera patata bistrattata”. Ringraziai il cielo di non sentire nulla. Mi legarono le braccia, non si poteva rischiare di intralciare il tavolo operatorio. Tirarono su delle tende verdi. Davanti a me non vedevo più nulla. Non sentivo più niente dal busto ai piedi.
Non faceva neanche più freddo, ma percepivo il taglio e le manovre al suo interno. Sentivo il mio corpo inerme. Sentivo manovrare dentro quell’apertura. Non ero assolutamente pronta, né preparata a questo. Tanto meno ne avevo la forza. Informai l’anestesista che non ce l’avrei fatta, che non sentivo dolore ma percepivo tutto e non sarei stata in grado di resistere. “Ma la devo addormentare, ne è sicura?”, disse lei. Provai a resistere, ma non ne fui capace. Vigliaccamente inspirai attraverso la maschera che infine mi porse e “svenni”.
05/07/2020
Ore 10:10
2,79 kg
49 cm
Il risveglio
Un’ora dopo aprii gli occhi. “Siete stati fantastici” dissi. Ringraziai l’equipe perché era stata professionalmente impagabile. Accorti, precisi, puntuali. Erano riusciti a farmi sentire in mani sicure, in un momento di panico totale. Risero. “Ma quanto anestetico le hai dato?” sì domandarono tra colleghi. In effetti mi sentivo letteralmente drogata. Poi un lampo di lucidità “come sta la bimba?” – “sta bene”- “e il papà?”- “sta con lei, le stanno facendo il bagnetto”. Sdraiata sul tavolo operatorio con le braccia ancora legate, provai un moto di invidia nei confronti di mio marito, ma sorrisi e mi resi conto di avere gli occhi ancora chiusi.
“Si, sono davvero drogata ”ricordo di aver pensato. Dopo qualche minuto sbattei le palpebre cercando di mettere a fuoco.
Difronte a me una donna con in braccio un piccolissimo frugoletto in tuta gialla. Regalo della nonna, come tutto il primo corredo, poi il secondo ed il terzo, ed il quarto…(cosa non si farebbe per i nipoti).
Di nuovo l’anestetico di prima. Ritornai in me. Pensai. “Mia figlia, è mia figlia!”. Incredula, felice, allibita, impaziente, elettrizzata, impaurita. “E adesso?” , mi chiesi. La dottoressa si avvicinò, la poggiò sul mio petto. “Ciao Bimba” e altri farfugliamenti indefiniti.
Non ero lucida e non riuscivo a mettere a fuoco nemmeno le parole, tra le miriadi che avrei voluto sussurrarle. Piansi. “La posso accarezzare?”, chiesi. Slacciarono la cinta che teneva il mio braccio bloccato e sentii la sua pelle. Piccoli vagiti. Provai a sistemarle il cappellino, ci passava un’intera mano dentro, tanto era piccola.
Il tavolo operatorio avrebbe dovuto mantenere la sua sterilità ed io mi stavo muovendo troppo, per cui mi legarono di nuovo. Un moto di angoscia. “Devono finire di lavorare ancora”, riflettei tristemente. L’avrei rivista un’ora dopo. Mi spiegarono perché fossero ricorsi ad un taglio cesareo d’urgenza. Il cordone ombelicale, durante la discesa della bambina, rimaneva schiacciato tra la sua guancia ed il canale del parto. “Ci è dispiaciuto tantissimo, stava andando così bene”. Immaginai mia figlia. Avevo letto che i bambini sanno come nascere. E lei era talmente pronta che avrebbe fatto di tutto pur di portare a termine la sua missione. Determinata, “e brava ‘a mamma“. Trovai la prima somiglianza tra di noi, sorrisi e mi riaddormentai.
Le sensazioni dopo il parto
Poco più tardi mi chiesero come mi sentissi, “bene” esclamai senza pensarci veramente.
Poi una voragine nel petto. Ritornai a prima, nel box parto. Sentii di nuovo quel battito decelerare. Salì l’angoscia. “Non respiro” dissi. Si allertarono tutti e subito chiamarono l’anestesista.
Ragionai nei pochissimi minuti prima del suo arrivo, che fosse solo una attacco d’ansia. Sentivo i polmoni appiccicati. L’aria che entrava, era solo una piccola parte di quella che avrebbe dovuto, ma era solo una sensazione, già vissuta in passato. “Respiro, certo che respiro. Sono mamma ora, non posso preoccuparmi per questo” pensai in tono materno.
Arrivò l’anestesista cercando di tranquillizzarmi, ma io avevo già fatto da me. Brava anche mamma, forza e coraggio! Stavano finendo di lavorare. Tolsero le tende. Calò il sipario. Mi coprirono. Le mie braccia tremavano animate da non so quale strano impulso. Dicono sia l’effetto dell’intervento, o i pinguini della sala operatoria. Non si sa, ma succede sempre, o quasi. Io rientravo nella prima casistica, ovviamente.
Il rientro in stanza
Sentii muoversi il letto ed uscimmo dalla sala molto più lenti di come ne eravamo entrati, unico gesto che aveva tradito un’ora prima una certa urgenza. In fondo al corridoio vidi una figura. Cercavo di mettere a fuoco, nonostante le palpebre pesanti. Ci riuscii. Lo riconobbi subito. Mio marito. Teneva in braccio nostra figlia, ancora più piccola in quel metro e novanta di tenerezza. Fu gioia pura, incredulità, felicità, stupore. Il mio cuore esplodeva. Lo sentivo pompare sangue in ogni parte del mio corpo. In un attimo provai calore, amore, meraviglia. Sentivo tutto e niente. Lacrime. La più bella immagine mai scattata, il più bel quadro mai dipinto. “Oh mio Dio” pensai, e lo ringraziai per avermi dato tanto.
Andammo tutti in una stanza che visivamente non ricordo, io sul letto e per marito una sedia che non avrebbe mai usato.
Passammo un’ora a guardarci. Finalmente insieme, finalmente noi. La piccola era tra le mie braccia, incastrata stile tetris tra i mille tubi delle flebo. Io non sentivo nulla, se non le gambe che pesavano inermi come macigni e mio marito, addolorato, non sapeva dove toccarmi e come aiutarmi. Mi guardava con un’aria strana, nuova. Un misto di meraviglia, rilassatezza e commozione ma anche impotente dispiacere. Felice per lei, in pena per me.
In un attimo di estrema naturalezza la bimba si attaccò al mio seno, e fu l’evento più spontaneo a cui avevo mai assistito. Di nuovo restammo rapiti. Arrivò l’ostetrica per aiutarmi, come faceva con tutte le neo mamme a mettere in atto quella manovra. “Facciamo attaccare la piccola? Ah, avete già fatto?” Nel mio rintronamento sorrisi già fiera di mia figlia. Salutai mio marito. Era finito l’orario di visite ed il tempo insieme causa Covid.
Continua al capitolo 6, Post parto
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Grazie per i vostri racconti perché riuscite a dare di nuovo vita ai miei ricordi..
… “Crescono troppo in fretta”, continuiamo a dirlo noi mamme e continua a ripeterlo la società. Eppure bisogna fermarlo questo tempo e non abbiamo altro mezzo se non scriverlo in bianco e nero su un foglio.
Grazie, veramente grazie delle tue splendide parole.
Siamo felici di averti ricordato il momento più importante, severo, felice ed entusiasmante della tua vita.
Grazie, davvero grazie
Nina cara,
Hai trascorso quasi metà della tua gravidanza in isolamento, con te soltanto tuo marito, è stato difficile e doloroso per me non poterti essere di aiuto, il telefono era il nostro unico contatto….
Sei stata molto brava e coraggiosa ad affrontare il travaglio in gran parte a casa e nel tuo racconto hai reso benissimo le difficoltà che hai “incontrato” , le paure che hai “vissuto”! Hai saputo raccontarlo in modo così scorrevole e fluido e mi hai donato una grande emozione. Baci mami
Grazie mami, per le tue splendide parole. E per la forza che anche solo “telefonicamente” mi hai trasmesso.